Maccioni e Ferretti introducono. Giovanni non ha ancora visto il film, prende posto tra noi e il buio avvolge la sala. Ad ogni minuto che passa tiro sospiri di sollievo. La delusione è palpabile tra i "commensali". Qualcuno russa nelle ultime file. Si conclude il tutto con entusiasmo, gli applausi partono dai più anziani, le domande più interessanti scaturiscono dai cinefili, frequentatori abituali del Lumière. Un giovane gallo cedrone, infine, alza la mano. Pone traballante una domanda arzigogolata per niente inerente a questo documento "barbaro", antico. La conversione. La Chiesa. Mi aspetto, disincantato, un Ratzinger, infilato per caso, che per fortuna non viene tirato in ballo. Il regista e il protagonista -suo malgrado- della serata sono giustamente infastiditi. L'imbarazzo tenero, sincero, di Giovanni lascia il posto ad una delusione che deve provare giorno per giorno, da molti anni a questa parte. "Sono semplicemente tornato a casa, tornato alle orgini" -È così difficile da capire? C'è davvero bisogno di chiedere chiarimenti al riguardo?- "Io non provo interesse per la Chiesa in quanto istituzione, per il marcio che, inevitabilmente c'è in essa... del resto è fatta dall'uomo. Ho un approccio alla fede totalmente bambino, vi stupirei da questo punto di vista".
Finisce con un po' di tristezza un'altra bellissima esperienza. Sarebbe stato bello discorrere di "Saga", sine dubio il disco più bello, più vero di Ferretti, sarebbe stato bello informarsi sugli intenti cinematografici di quest'opera equestre (visto che "Fedele alla Linea" sembra il preludio di qualcos'altro, qualcosa di ancor più epico), ma Ferretti, più di tutti, è condannato. Per quanto il tempo passerà, tra il suo pubblico persisteranno sempre coloro che aspettano di urlare "Lode a Mishima e a Majakovskij" (del Padiglione d'Oro e de La Nuvola in Calzoni, però, non c'è traccia!) o "Al principio era Pravda: parola verità" (senza riderne, per carità!).
Penso alla malinconia ancestrale insita nello sguardo di Ferretti e ascolto il suo meraviglioso "canto dei canti". Spesse volte sfugge, ma il Nostro, sull'Appennino di Pasolini, è nato pastore, da pastori. Pastore è tornato ad essere. Sta a noi non far la parte delle pecore.
Come bambino so sentirmi offeso, ma
tiro avanti senza dargli peso
non sempre so dire chi, perchè
ma cosa pretendere da un bimbo come me?
Miro ai lampioni che s'oppongono alla luna,
miro l'ombra che intralcia la fortuna.
Sto sdraiato nei campi nelle ore più belle
a pancia in su o giù a rimirar le stelle.
O godo, soffro l'amore
tendo la fionda ai lampioni che s'oppongono alla luna,
miro i prepotenti e i coglioni,
tiro alle ombre che intralciano la fortuna.
Come bambino vedo la politica un gioco da poco
si gioca per amore, obbligato
da tenere sotto controllo come il fuoco.
Sto sdraiato nei campi nelle ore più belle
a pancia in su o giù a rimirar le stelle.
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