venerdì 3 ottobre 2014

"We've met before, haven't we?" : David Lynch, Bologna (.30.IX.14.)


Bologna, Piazza di Porta San Donato, ore 12.
Un paio di ragazzotti in giacca e cravatta -stile "Reservoir Dogs"- ci consegnano una manciata
di braccialetti gialli, impossibili da sfilare una volta indossati, per poi scortarci su un pullman noleggiato appositamente per noi. "Tenete d'occhio l'autista", ci dicono. Un'affermazione sulla quale interrogarsi per tutta la durata del viaggio, magari lanciando a intervalli regolari occhiate nervose al collo taurino del conducente. Arriviamo inaspettatamente illesi alla meta, in piena periferia bolognese, dopo appena dieci minuti di viaggio e, ad aspettarci, troviamo gli stessi ragazzi di prima. Fieri, impettiti. Impeccabili, come prima e sospetto "come sempre". Ci conducono con la stessa eleganza di cui sono portatori sani all'interno di un'imponente struttura di vetro, acciaio e cemento, über-moderna e avanguardista (il MAST, appunto) e mentre lo smoking biondo ferma le auto per permetterci di attraversare la strada mi sento molto simile ad una pecora. Quella in formaldeide di Damien Hirst.


All'ingresso ci controllano le trappole che abbiamo al polso e attraverso un ascensore di vetro über-veloce (tanto veloce che rimpiango la corsa in pullman) giungiamo ad un rinfresco chiccosissimo e completo di tutto, anche di mini-burger bio-vegan per i damsiani e i giornalisti a km 0. Tra la folla di studenti denutriti noto il sindaco, che trangugia mini-cornetti salati e beve succhi di frutta. Veniamo costantemente soccorsi da ragazze über-cortesi in tubino grigio, mentre cestini-umani ci liberano dal fardello dei piattini (rigorosamente eco-sostenibili) e dai bicchieri usati. Consegnano -a chi le richieda- cuffie per la traduzione simultanea ed io, già intontito da una discreta quantità di pizzette, penso: "A Lucca è stato abbastanza bello, ma non così bello! C'era una traduttrice e non le cuffie ad personam. E la traduttrice, a Lucca, ha usato termini come "scaturAre" con la "A". Inoltre dovevi spostarti a piedi, nessuno ti caricava su un bus, come per le gite scolastiche. Sì, qui bolle in pentola qualcosa di bello-bello".





Prendo posto nell'auditorium, solo dopo aver consegnato tutti i miei averi, sotto gentile intimidazione, ad una signorina sprovvista di tubino grigio ma completa di tailleur über-chiccoso; chiccoso come il MAST. Dopo pochi minuti si accomoda anche qualche professore del DAMS, il presidente della cineteca e, ovviamente, il sindaco, finalmente sazio. Un tubino grigio-biondo ci annuncia che Lynch arriverà tra pochi minuti. Ci ordina di spegnere i cellulari, di restare ai nostri posti, di non scattare fotografie, di non produrre dagherrotipi e ci dice solenne che non ci sarà la possibilità di intervenire o di fare domande. "Ohibò, a Lucca di dibattiti ce ne sono stati" -penso- "ma sicuramente oggi ci sarà un mediatore. Si occuperà lui di tutto. Magari sarà proprio il presidente della cineteca!" Mentre rimugino, la signorina bionda in tubino, che si rivela essere la traduttrice, annunzia trionfante l'ingresso di D.L., che viene accolto da un fragoroso applauso. Mi sembra sinceramente toccato dall'accoglienza, nonostante sia ormai ampiamente abituato ai bagni di folla.

Bilancio.
Ogni fan di Lynch, ogni seguace, ogni adepto, sa benissimo che al regista non piace discutere troppo dei suoi film. Non gli piace spiegarli, non gli piace svelarli, ma parla volentieri degli attori, dei produttori, di come gli è saltata in mente un'idea. Gli piacciono le idee e come vengono fuori. L'approccio, definito in modo davvero spicciolo, è: "sono MIE pippe mentali, voi non potete capirle e io non mi affanno a spiegarvele ma, fidatevi, per me hanno un senso". A me sta bene. Mi piace, non faccio finta di capirlo, ma mi appassiona da anni. Più o meno da quando ne avevo quattordici.
Tutto ruota attorno all'incomprensibile e ci si lascia immergere spontaneamente in esso da questo gigante visionario, consapevolmente suggestionati.

Analisi.
A Lucca, appena un giorno prima, gli è stato consegnato un premio alla carriera (e sul palco era presente Roy Menarini, docente del DAMS, tanto temerario da fargli la domanda giusta al momento giusto), lo scorso anno è uscito il suo secondo disco, due mesi fa le scene inedite di Twin Peaks, nello stesso luogo dove ci trovavamo noi e lui (in quel preciso momento, su suolo petroniano!) veniva ospitata la sua mostra "The Factory Photographs". Il MAST -o chi per esso- cos'ha scelto di organizzare? Visione di "Elephant Man" con introduzione. "The Elephant Man" è uscito nel 1980. Io l'avrò visto -con piacere- una decina di volte. Tra l'altro è anche il film di Lynch che necessiterebbe meno di "spiegazioni" o aneddoti: la trama e l'approccio sono piuttosto tradizionali rispetto a un "Mulholland Drive" o a "INLAND EMPIRE". Inoltre Lynch NON "introduce" i suoi film. Lo dice ai talk show, nelle interviste, nelle conferenze e negli extra dei DVD... ed è la prima cosa che dice anche oggi, di persona, casomai qualcuno non l'avesse intuito.


Ovviamente "La Repubblica" è un giornale e in quanto tale non può riportare le cose accadute sic et simpliciter: non sarebbe interessante. Sul palco del MAST Lynch non pronuncia soltanto la frase che sta facendo il giro della rete. Ci prova, con un po' d'imbarazzo, ad "introdurre" il film. La signora bionda in tubino ha un inglese che mi fa rim
piangere lo "scaturAre" della traduttrice di Lucca, che tutto sommato era un errore di distrazione e, ammettiamolo, chi non ne fa nella vita. Non c'è nemmeno una sedia sul palco, così nessuno lo invita a sedersi. Con l'imbarazzo di cui sopra, ci dice come e quando gli è balzata alla mente l'idea di girare un film su Joseph Merrick. Ci elenca un po' di informazioni e ci parla degli attori con cui ha avuto a che fare. Punto. Sei minuti, forse dieci. Nessuno gli rivolge una domanda e, dunque, ci saluta, cortese come sempre. Pochi, a questo punto, hanno intenzione di guardare un film che hanno già visto plurime volte.





Esco, con l'intenzione di visitare ancora una volta la mostra sulle fabbriche (quest'ultima l'avevo vista a Londra lo scorso Febbraio e mi era piaciuta moltissimo), recupero il mio zaino dalla signorina in tailleur e noto Mr. Lynch che fuma all'esterno dell'edificio, dietro una porta di vetro. Aspetto pazientemente che finisca e lo raggiungo. Mi sorride, mi chiede perché non stia guardando il film. Gli spiego il perché e ridiamo. "Ah-ah-ah", fa lui. "Ah-ah-ah-ah-ah", faccio io. Mi scappa qualche "ah" in più, ma è l'emozione. Mi chiede se per caso ci siamo incontrati prima -e giuro che me lo chiede esattamente così: "We've met before, haven't we?"- ed è vero, ci siamo incrociati a Lucca. Dico qualcosa, non ricordo bene cosa, si fa una chiacchieratina, ma in un inglese migliore del tubino grigio-biodo, così mi firma l'LP di "The Big Dream". Intanto una massa di studenti ci accerchia per ottenere le stesse sacrosante cose: una stretta di mano, un autografo. Potete biasimarci? Resto lì, stretto tra il regista e la folla: Lynch mi chiede in prestito il disco per appoggiarci i fogli che dovrà autografare. Il suo sguardo è sereno e stanco: accontenta tutti e sorride di rimando. Penso che sia invecchiato davvero bene. Non posso smettere di guardargli i capelli: "Come farà a tenerli su così?" . Nella contenuta confusione generale lo immagino allo specchio, la mattina, mentre viene pettinato da Isabella Rossellini e "laccato" da Laura Dern, col giusto sottofondo musicale. Mi ricordo di chiedergli qualcosa ogni tanto e di giocarmi qualche battutina arguta quando il brusio non sovrasta troppo la mia voce, lui sorride e mi risponde sempre con cortesia estrema. Gli passo qualche DVD e qualche locandina da parte delle persone che sono parecchio distanti: mi sposterei per fargli spazio ma mi è impossibile. Sono letteralmente schiacciato... e poi ha ancora il mio disco. Però va benissimo così: sono felice.
È tempo di andare: D.L. mi restituisce ciò che mi appartiene, mi ringrazia, anche se non dovrebbe, e ci scattano anche una foto.
Sogno che gli sono simpatico.







"Lynch a Bologna delude tutti"? Quando ho letto questa frase ho pensato al tempo che ci ha dedicato fuori dall'auditorium, paziente e col sorriso sulle labbra, e a ciò che l'organizzazione aveva imbastito pur di fargli calcare il suolo bolognese. Da una situazione disperata ho ottenuto ciò che non avevo sperato in anni di sincera devozione e di cofanetti e locandine sotto l'albero di Natale, tutto grazie alla cortesia e alla gentilezza estreme di un uomo che ho sempre visto irraggiungibile. Per tutto il resto c'era il Lucca Film Festival... e una "lezione di cinema" che non dimenticherò mai.








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